domenica 5 aprile 2015

LA SICILIA, MACALUSO, IL SOCIALISMO, LA SINISTRA ED IL FUTURO…


La lettura stamani sull’edizione di Palermo de “ la Repubblica” dell’intervista ad Emanuele Macaluso, firmata da Giuseppe Alberto Falci, ci offre da siciliani e socialisti, l’occasione per qualche riflessione.
Dopo una parte dedicata alla lunga, prestigiosa carriera sindacale e politica di Macaluso credo che il punto più interessante dell’intervista sia quando Falci pungola Macaluso affinché dica la sua sull’attuale “scenario”politico.
Il novantunenne Macaluso non le manda a dire e parte dicendo che l’attuale Esecutivo ignora la questione meridionale. Vero, verissimo come del resto indifendibile è nel merito e nella sostanza la “ratio” che muove questo Governo e la sua maggioranza politico-parlamentare che conta, ahinoi, numerosi meridionali e siciliani.
Macaluso, poi, con mestiere, passa subito, alla realtà siciliana e si “confronta” con la Regione e con il suo Governo, guidato da quel Rosario Crocetta, che almeno sulla carta, sarebbe espressione del progressismo democratico e/o democraticista.
L’analisi macalusiana è inappuntabile e condanna, senza se e senza ma, Crocetta, la sua esperienza di governo e la “formula” politica che questo aveva posto alla base della sua “discesa in campo”.
Macaluso, infatti, rispondendo all’intervistatore sottolinea che  Crocetta e i “crocettiani” si sono mostrati  inadeguati nel dare visibilità alla questione siciliana, cioè, detto anche  in altri termini, nel dare centralità alla battaglia per la Sicilia.
Falci a questo punto lo incalza e gli chiede, apertamente, un giudizio sul PD, che è stato ed è, non dimentichiamolo, lo “sponsor” e “l’animatore” politico del fenomeno oramai possiamo dire “localistico” del “crocettismo”.
La risposta di Macaluso è stentorea ed il canuto leader definisce testualmente il partito democratico “ un aggregato politico elettorale”. Incalzato ancora aggiunge che il PD “è interessato”, come il resto di certa classe politica, da una vocazione e da una prassi trasformista.
L’analisi del compagno Macaluso è nella sua chiarezza compiuta, senza sbavature.
Ho trovato se possibile ancor più importante, poi, il fatto che Macaluso ha posto la questione della lotta alla mafia come problema politico e sociale.
Andando oltre il detto, direi, senza penso stravolgere troppo il suo pensiero, che Macaluso distingue tra certa antimafia , che l’intervistatore definisce “farlocca” e un’esigenza di lotta alla mafia genuina e presente.
Macaluso, in questo confronto, trova l’elezione a Presidente della Repubblica del siciliano Sergio Mattarella,  un elemento positivo, testimonianza di una Sicilia diversa che non si rassegna e non si piega al vile ricatto mafioso.
Dopo aver letto l’intervista titolata in modo azzeccato: “ Che delusione la mia Sicilia senza leader né antimafia” mi sono interrogato e come cittadino siciliano e come socialista isolano su quale potesse essere, in termini etici e politici, il portato di questa, interessante e nella sua chiarezza inusuale, intervista sia per la sinistra che per l’intera società siciliana.
Il fatto anagrafico di un Emanuele Macaluso novantunenne ci indica che l’uomo, nella sua proverbiale, invidiabile lucidità di analisi coglie, scevro da preoccupazioni o interessi tattici, l’essenza di quanto accade, in termini politici, oggi in Sicilia. L’esistere, il resistere e il persistere di due modi contrapposti, antitetici di concepire la politica in Sicilia.
Un modo è quello rappresentato dalla prassi predominante che in nome degli interessi di una certa classe politica e dei suoi “clientes” sacrifica, aspirazioni, bisogni, esigenze della stragrande maggioranza dei siciliani mortificando, spesso consapevolmente spesso inconsapevolmente, le necessità e le priorità etiche e politiche della maggioranza dei nostri conterranei, come nel caso, appunto, della lotta alla mafia, al malaffare o ancora immiserendo e negando l’idea della Sicilia come Terra libera da ipoteche coloniali e colonizzanti.
Vi è poi un secondo,  altro, diverso modo di pensare e speriamo anche di amministrare politicamente la Sicilia.
Un modo che riassumerò per semplicità con una definizione non sua ma che prendo a prestito dal compianto Massimo Ganci, per cui la Sicilia deve affrontare e risolvere la questione siciliana che è parte della questione meridionale ma non si risolve necessariamente in questa.
Questione quella siciliana che può trovare finalmente soluzione solo se cambierà , copernicanamente, il modo di gestire la “cosa pubblica”. Questo “nuovo modello” di relazioni etico-politiche e socio-economiche richiede però il superamento di vecchie “prassi” proprie della “politica politicata”.
E’ chiaro che questa è una sfida per tutta la classe politica e dirigente della nostra amata Sicilia, che, in ogni caso, deve, a mio avviso, anzitutto interessare la sinistra isolana.
Una sfida concreta e non solo teorica, che appunto in virtù della sua effettività chiama in causa noi uomini e donne di sinistra. Dobbiamo, in tal prospettiva, avere dunque il coraggio di dire che le contraddizioni che indica il compagno Macaluso sono frutto non solo di contingenze politiche situazioniste ma del fallimento, insottacibile e conclamato, di un modello di relazioni praticate da un intera classe dirigente e politica.
Classe che in buona parte possiamo definire progressista e di provenienza di sinistra, eredi, diretti ed indiretti, di quelle esperienze organizzate che si riconoscevano e che militavano nei partiti e nelle organizzazioni politiche e sociali della sinistra storica siciliana e no, oggi estintesi e da cui poi hanno preso il largo per le loro lecite quanto personali scelte.
Detto ciò è evidente che occorre un cambiamento epocale delle e nelle relazioni politiche se vogliamo sottrarre spazio politico e rappresentanza a fenomeni come il “crocettismo”.
 Una necessità, che è il frutto conseguente di un lungo processo di “oggettivo incancrenimento” della rappresentanza politica, troppo a lungo e male, mediata e filtrata da apparati politico-burocratici sempre uguali a se stessi egoisti  ed immarcescibili.
Noi socialisti siciliani stiamo provando, partendo da noi, dalla nostra area politica e dalla nostra concreta esperienza a colmare questo “GAP”; proviamo a farlo cercando di riorganizzare la nostra presenza a partire dai bisogni e dalle esigenze prioritarie della gente, di quella parte onesta e lavoratrice, che è la maggioranza dei siciliani. Non ci nascondiamo dietro un dito: anche noi  troviamo resistenze ed incontriamo incomprensioni.
Poniamo, tuttavia,  come centrali, in questa prospettiva di concretezza i temi della rappresentanza politica.
Un dato questo che un socialismo,  una sinistra credibile deve aggredire.
In democrazia questo è  lo snodo centrale della rappresentanza istituzionale, che in Sicilia significa, praticamente, affrontare  il tema della rappresentanza autonomista, la cui centralità è innegabile tanto da essere stata costituzionalizzata.
In concreto si tratta per noi socialisti e di sinistra della ripresa, senza rachitismi, pregiudizi e/o callosità,  della “linea” d’indirizzo che fu propria della migliore, più lungimirante tradizione socialista, che vedeva, come ebbe a dire l’indimenticato Rodolfo Morandi, nel giugno del 1954,   nella costruzione statutaria “ un atto di portata storica  nazionale, una svolta decisiva che si è operata nei sistemi e nelle consuetudini di uno Stato accentratore e soffocatore delle libertà locali che sono il fondamento ed il presupposto delle libertà individuali”.
La difesa non paurosa, dunque, delle prerogative statutarie per non essere intesa e divenire, di fatto, mera difesa dell’esistente occorre ponga la questione perentoria della selezione di una nuova classe dirigente politica e di sinistra, che deve assumersi l’onere ed il ruolo non solo di “difesa” e di “gestione” dello strumento statutario ma della sua “piena e totale attuazione” secondo direttive generali e lontane da interessi limitati e prassi di casta.
Ciò significa intervenire sia  sulle prassi che sui meccanismi di governo, sulle abitudini inveterate, sulle basse linee di galleggiamento morale.
In poche parole significa scontentare elitè e camarille, da molto,  troppo tempo, senza limiti etici e direzione e controllo politico.
Se la sinistra vuole tornare a fare la differenza, se i socialisti vogliono essere parte di questo processo di ri-organizzazione virtuoso devono scontentare molti e scardinare equilibri dati.
Può e deve fare riflettere il fatto che una delle poche analisi lucide sull’oggi, seppure non esaustiva, venga da un compagno ultranovantenne.
Tutto ciò pur andando a merito dell’intelligenza umana e politica di Emanuele Macaluso testimonia della necessità e dell’urgenza politica di dare il via ad una nuova stagione in cui, le vecchie prassi, i vecchi paludati riti cencelliani e consociativi siano definitivamente archiviati e sconfitti.

Serve alla Sinistra isolana, serve alla Società siciliana!


Fabio Cannizzaro

Coordinatore della Federazione

per il Socialismo della Sicilia

mercoledì 1 aprile 2015

ANALISI SOCIALE ED ECONOMICA E PROSPETTIVE POLITICHE A PARTIRE DALL’INTERVENTO DI GUGLIELMO LOY, SEGRETARIO CONFEDERALE DELLA U.I.L., ALL’ASSEMBLEA COSTITUENTE DEL SOCIALISMO ITALIANO DELLO SCORSO 29 MARZO



NOTA RIASSUNTIVA E CHIOSA A MARGINE DI FABIO CANNIZZARO, DELL’UFFICIO POLITICO DELLA FEDERAZIONE PER IL SOCIALISMO


Concordo pienamente con il compagno Franco Bartolomei quando scrive che uno degli interventi più interessanti e ricchi concettualmente, ascoltati all’Assemblea Costituente del Socialismo Italiano, tenutasi a Roma lo scorso 29 marzo c.a., è stato quello di Guglielmo LOY, segretario confederale della U.I.L.
LOY ha svolto un intervento che definirei fondamentale per la definizione delle politiche sindacali, dei prossimi due lustri di questo Paese. Senza concedere nulla alla retorica ha sviluppato un ragionamento articolato e coerente muovendo da lavoro e questioni economico-sociali.
Rigorosa e senza orpelli ideologici, ma appunto per questo puntuale, l’analisi della “weltanschauung ” economica di Renzi e dei renziani. LOY fa notare che il Presidente del Consiglio ha sostenuto, esplicitamente, che le aziende debbono, a suo avviso, essere libere di assumere e licenziare. Da questo assunto-assioma discende appunto la sua “visione economica” in cui il proprietario d’azienda può fare indefinitamente tutto quello che vuole, dato che a suo avviso questa “libertà” finirebbe per garantire la “ripresa” ed il “sistema”.
LOY fa notare analiticamente che dunque si mira a fare crescere il Paese puntando solo sul basso costo del lavoro.
E’ un’idea del lavoro prosegue il segretario confederale della U.I.L. quella di Renzi, che è, in concreto, l’esatto, speculare contrario di quanto a mo’ di propaganda Renzi e i suoi vanno dicendo quando affermano che in cambio della decrescita delle tutele sul lavoro lo Stato si farà carico dei lavoratori. LOY ci mostra, appunto, che non è e non sarà così!
Ma LOY sviluppando la sua riflessione ci prova anche altro ovvero che con il “paradigma Renzi” verrà meno l’equilibrio tra guadagno delle aziende e diffusione sociale, condivisa del benessere poiché verranno meno le tutele sociali e sindacali che sono state e sono, cosa che Renzi mostra di non comprendere a pieno, parte fondante anche del modello che caratterizza da lustri anche il sistema capitalista occidentale.
Occorre aver chiaro che il capitalista, il proprietario d’azienda non può fare indefinitamente tutto quello che vuole. 
LOY dice, a ragione e con buon senso, che meno sicurezza, meno tutele non sono solo una sciagura per i lavoratori, per il modo del lavoro ma un errore economico per e dell’intero sistema produttivo, limitando in prospettiva anche la crescita generale delle aziende e del Paese.
Preso coscienza di ciò accettare questa prospettiva significherebbe per il sindacato e ancor più per la sinistra democratica di questo Paese negare ad intere generazioni mobilità sociale e quindi un futuro.
Significherebbe, in concreto, prosegue LOY, cristallizzare la società italiana a livello economico e sociale escludendo quantitativamente quanto concretamente forme apprezzabili di mobilità sociale interna, limitando, de facto, il benessere collettivo.
Puntare, come fa Renzi, tutto sulla FRAGILITA’ dei lavoratori, è un errore non solo e non tanto in termini etici e politici, quanto soprattutto dal punto di vista economico, dato che una simile prospettiva finirà per minacciare la crescita e quindi lo stesso sistema produttivo italiano.  
La logica del Governo, oggi, in concreto, mostra come effetto non virtuoso solo facilità di licenziamento per le aziende. 
Possibilità che già esisteva e che ogni anno era, infatti, praticata 900.000 volte, la metà delle quali in aziende dove c’era l’art.18. E allora? Allora, va detto sostiene, a ragione, LOY che le aziende non cresceranno solo perché hanno maggiore possibilità di licenziare. Dare potere agli imprenditori di fare come vogliono, senza vincoli sindacali,  non garantisce la ripresa.  
Da adesso come segnalano i giuslavoristi si potrà addirittura essere licenziati, ad esempio, solo se si tarda di cinque  minuti a lavoro. Tutto ciò è sbagliato! In una spirale sempre più stringente LOY continuando a dipanare il suo ragionamento dice che la politica non deve rinunciare alla regolazione della “funzione barbara” del capitalismo, ciò specialmente in un capitalismo globalizzato e finanziario qual è quello nostro.
In una condanna non ideologica ma appunto per questo totale della logica renziana, il segretario confederale dell’U.I.L., ci fa notare che con il renzismo economico siamo, concretamente, regrediti ad un’idea pre-liberale dei rapporti lavoratore-azienda. In questa prospettiva si spinge solo in direzione di attribuire e sancire il totale, assoluto potere delle imprese.
Si prova a negare la funzione regolatoria del pubblico, dello Stato che per LOY certo non può essere più quella del passato quando c’era maggiore disponibilità di finanza collettiva e maggiori margini per l’intervento pubblico. In poche parole Renzi e i suoi negano alla politica un ruolo garante regolatorio sia in modo diretto che in modo indiretto. Cosa significa in concreto? LOY lo spiega sempre con chiarezza, fa notare che una cosa è un sistema di regole tra le parti, quale quello, ad esempio, frutto della contrattazione, altro è avere a dover accettare e subire i diktat di una parte sola, quella patronale e/o datoriale che dir si voglia.
In coerenza e in linea con la sua analisi LOY giunge a dire che le scelte di questo governo non hanno nulla di liberale, dato che l’Esecutivo cerca e pratica una scorciatoia, pensando che solo la libertà delle imprese.
Libertà che garantisce ed esalta attraverso alla sciente scelta di rinunciare alla contrattazione, in un combinato disposto di STATALISMO e CENTRALISMO che non fa bene al lavoro, alla politica e alla democrazia di questo Paese.
Addirittura si opera per stabilire uno stipendio minimo per legge, che non solo nega la contrattazione, ma nega, in concreto, a ben vedere, il livello di mediazione tra tutela e contrattazione.
LOY si è infine concesso, sempre senza rinunciare al suo rigore, quella che ha definito una micro riflessione politica. Dicendo che lo spostamento del PD su assi pre-liberali e vetero-patronali libera un immenso spazio politico che non va riempito con vetero-analisi ma da una moderna politica riformista, socialista, che sappia rifiutare parole d’ordine qualunquista e vuote come CAMBIAMENTO E RIFORME se queste prescindono ( N.d.R. come oggi accade, aggiungiamo Noi) da concreti vantaggi per i soggetti sociali coinvolti, minacciando anzi di danneggiarli, danneggiando i margini d’agibilità sociale. L’auspicio di LOY è che si affacci una forza sociale e politica che assuma questo ruolo che governando i processi, in chiave democratica, moderi un capitalismo oggi aggressivo di fronte ad una politica debole, succuba e rinunciataria. Né del resto si possono accettare conclude LOY previsioni economiche che sancirebbero, per il medio futuro, un Paese ancora, nuovamente spaccato in due, dove la disoccupazione diventerà non solo un dato normale ma strutturale con una forchetta tra un Nord con il 10% di non occupati e un Sud sempre più marginale con un quarto della popolazione cronicamente disoccupata.
Ora dopo aver riportato quanto il segretario confederale dell’U.I.L. ha detto all’Assise di Roma mi permetto di affermare che basterebbe, pur fortunatamente non esaurendola, questo intervento di Guglielmo LOY, erede diretto della tradizione sindacale di Italo Viglianesi e Giorgio Benvenuto,  per fare dell’iniziativa promossa a Roma da tante organizzazioni, gruppi socialisti ( la “Lega dei Socialisti”, la “Federazione per il Socialismo” la componente del P.S.I. “Sinistra socialista”, e tanti compagni tra cui Gerardo Labellarte, Felice Besostri, i compagni e le compagne dell'associazione “Socialisti Europei” e tanti altri ancora) l’occasione angolare per, muovendo da questa giornata, da queste analisi ed input, una RIDEFINIZIONE ORGANIZZATIVA BARICENTRICA DEL RUOLO E DELLE PROSETTIVE DEL Socialismo a sinistra, cioè non disposto a perdersi e diluirsi nel PD e nelle sue “logiche” esattamente pre-liberali.
Sta ora a Noi, compagni e compagne, fare tesoro di analisi schiette e puntuali come quelle di LOY per dare futuro al Socialismo e alla Sinistra.
La clessidra scorre! Ci siamo dati appuntamento il prossimo 27 giugno, nuovamente a Roma, e lì dobbiamo giungere, muovendo necessariamente in modo orizzontale, federato dai Territori, con una condivisa, definita linea di azioni e presenza socialista da offrire, senza gelosie e timori, all’intera sinistra, di cui fummo, siamo e saremo, nella parte più viva e propositiva sempre “lievito” ed “anima”.

SOCIALISMO SEMPRE!


Fabio Cannizzaro